Oggi inauguro la mia nuova rubrica e lo faccio in occasione
di un grande evento. Perlomeno per tutti coloro che come me hanno vissuto gli
anni ’80 con la visiera al contrario.
La rubrica si intitola, “voi lo sapevate che io credevo
che…” e l’evento è il concerto “Lorenzo negli Stadi” del 23 giugno scorso al
Franchi di Firenze.
Premesso che lo Stadio Artemio Franchi a Firenze è
anch’esso, come molti monumenti storici in città, un’istituzione risalente al
lontano 1930 e che avere una bottiglietta d’acqua in borsa in questi giorni è
come possedere l’uovo di Fabergè, il resto può essere considerato al pari di
una normale gita-concerto.
O meglio dovrebbe essere considerato perché in realtà
normale non rispecchia proprio il corso degli eventi.
Dal mattino sembra una domenica qualunque di inizio estate,
tranquilla, sufficientemente calda, assolata e trascorre nell’armonia familiare
fino a quando, bevuto il secondo caffè dopo pranzo, mi accorgo come scossa da
un sogno turbolento che l’avanzare del tempo è spietato. E’ già tardi e
dobbiamo iniziare a prepararci per il concerto.
Inevitabile, scatta l’ansia, inizialmente giocosa, da look
adeguato e cool.
Il clima è caldo ma non troppo, forse pioverà o forse no;
bisogna ripararsi da sole e vento, comodi e confortevoli, leggeri e con pochi
impedimenti. Inizio con un leggings e una maglietta ma è troppo corta e non mi
piace. Cambio maglia, metto una camicia, cambio ancora e ancora, ora anche i
pantaloncini ma sono talmente bianca che potrei abbagliare qualcuno, inoltre
sembro un’adulta con il morbo dell’eterna adolescente. Nel frattempo mia figlia
che per inciso in cinque minuti si è vestita perfettamente in tono, mi osserva
come se fossi posseduta dalla Maledizione di Ondina mentre
mio marito, comodamente affossato nella poltrona vintage, annuisce sempre,
consapevole che contraddirmi in un momento così difficile della mia giornata,
sarebbe la fine.
Dopo esattamente un’ora abbondante, eccomi pronta e soprattutto
a mio agio, per zompettare sugli spalti a ritmo di Gimme Five.
Per inciso
l’abbigliamento scelto, al termine dell’ora di pura follia nella quale più volte
ho minacciato di rinunciare al mio partecipare, è lo stesso della prima prova
scartata per presunta inadeguatezza.
Prima di partire riempio la borsetta di tappini per le
bottigliette d’acqua colpita dagli sguardi sbigottiti del parentado.
“Scusa ma cosa stai facendo?” – Tenta un delicato approccio
mio marito.
“Come, non lo sai che prima di entrare ti tolgono tutti i
tappini dalle bottigliette!” – Rispondo io serafica e disarmante come sempre.
“Sì certo che lo so ma se hai sete puoi sempre bere qualcosa
dentro lo stadio e se ti dovessero togliere il tappino è uno non duecento, non
credi?" – Mi spiega Tiziano con quel fare paterno come se si rivolgesse ad un
bambino o ad un anziano con l’Alzheimer avanzato.
“Forse hai ragione. Allora ne prendo uno per sicurezza” –
Poi mi domando. “Chissà poi come mai li tolgono?” – Proseguendo nel mio
delirio.
“Per evitare che gente impazzita, ubriaca o altro butti le
bottiglie piene dalle gradinate rischiando di colpire qualcuno e magari farlo
secco.” – Continua paternalmente il suo dictatus, mio marito.
“Le bottiglie?! Piene?! Ma chi è questo pazzo?! Lo sai che
io credevo che ci togliessero i tappini per evitare che qualcuno li tirasse giù
dalle gradinate!!” – Confesso io.
Non penso e non voglio descrivervi il fragore della risata
di mio marito e di mia figlia soprattutto al termine del racconto della visione imbarazzante e doviziosa di particolari di centinaia, anzi migliaia di persone
che lanciano tappini di bottiglie leggeri e svolazzanti come un fluttuare di
farfalle per tutto lo stadio.
Tappini fluttuanti |
A questo punto mi rimpicciolisco e tanto per confondere le
acque inizio a ridere anch’io.
In verità non sembro molto convinta di quello che con
estrema sicurezza mi è stato spiegato ma fingo di aver capito il senso e mi
adeguo.
Partiamo per Firenze alla ricerca del parcheggio
intelligente. Quello non troppo vicino tanto da rimanere imbottigliati
all’uscita, né troppo lontano o troppo costoso, insomma esattamente ciò che
40.000 persone stanno cercando.
Lo troviamo lontano circa 2 Km e alquanto costoso ma non si può avere
tutto.
Giunti allo stadio, già gremito di gente e tremendamente
rumoroso, sono colpita dalla vicinanza con numerosi palazzi abitati.
Wof Wof! |
Sul terrazzo del primo piano del palazzo difronte
all’ingresso della tribuna centrale numerata, c’è un cane dallo sguardo
rassegnato. Appoggia il muso sulle zampe anteriori e sdraiato osserva il fiume
di persone che passa sotto di lui. Sembra un labrador o chissà che altro. Non
abbaia, non si lamenta, si limita ad osservare. Sono certa che se potessimo
vedere i suoi pensieri come fumetti, fuggiremmo terrorizzati in barba a
Lorenzo.
Dopo il lungo e plurivariegato biscione d’ingresso,
finalmente entriamo con la delusione negli occhi per il mancato controllo in
borsa, da parte della sicurezza.
“Ma come?! Allora il tappino l’ho portato per niente!” –
Scontatamente i miei affezionati accompagnatori godono del mio imbarazzo.
Una volta dentro lo stadio prendiamo la via per la nostra
postazione, curva fiesole non numerata. E’ alle nostre spalle. Ci giriamo e ci
rendiamo conto che pullula di migliaia di fans scatenati. Solo un triangolo
sulla sinistra è completamente vuoto, come infestato.
“Che strano!” – Penso io.
Chiediamo ad
un’addetta anch’ella sorpresa per l’inconcepibile scelta da parte di
tutta la gente salita fino ad allora, di recarsi a destra e mai a sinistra.
Eppure è un semicerchio e il palco è centrale, la visuale è la medesima. Boh!
Noi per non smentirci, andiamo a sinistra nel triangolo
vuoto. In un batter d’occhio ci seguono centinaia di persone e il triangolo si
riempie. Curioso eh!
Ora siamo circondati da strani elementi: mamme
pluriquarantenne in fuga dalla routine, genitori male assortiti con figlio
pre-adolescente al seguito e marito incredulo alla vista della moglie
scatenata, nostalgici hippies con spinello facile, coppia di paffuti ragazzi
con problemi di aerofagia, gruppo di amici con telefonino perennemente in mano
pronto a riprendere ogni esibizione, coppia di morti ovvero sono qui ma dovrei
essere all’obitorio.
Il concerto è stato esattamente come immaginavo che fosse:
lorenziano, bello, fragoroso, simpatico, allegro e commovente. Tutto e il contrario
di tutto. Sono trascorse tre ore senza che il passare del tempo mi destasse
preoccupazione.
Rientrando mi accorgo che il cane è ancora lì sul terrazzo
del primo piano, con lo stesso sguardo e probabilmente gli stessi pensieri.
Sono dispiaciuta per lui. Lo chiamo con un fischio cercando di attirare la sua
attenzione. Si gira, mi guarda come se riconoscesse in me un enorme pasto succulento. Mi risponde con un lungo caino per niente aggressivo poi si ributta
giù a terra, pesante e affaticato da tanta emozione.
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